Prestiti tra privati senza interessi

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Il prestito senza interessi è ormai un vecchio sogno per tanti consumatori perennemente alla ricerca di formule creditizie convenienti. Un desiderio il quale è stato del resto abilmente sfruttato dalle aziende del settore.

Le quali hanno varato una soluzione apparentemente molto allettante. Ovvero il finanziamento a tasso zero, il quale, però, all’atto pratico equivale all’ormai tradizionale specchietto per le allodole. Il guadagno per l’ente creditizio, in tal caso, esce infatti dalla porta, per poi rientrare dalla finestra. Sotto forma di costi accessori e altri oneri a carico del richiedente i quali fanno schizzare infine il costo del prestito a livelli convenienti per il prestatore. Come del resto è logico, considerato che nessuno lavora gratuitamente.

Per capire meglio cosa avvenga realmente nel caso di questo genere di prestito, basta in effetti mettere a confronto il TAN (Tasso Annuo Nominale) e il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale). Il primo indica semplicemente il tasso di interesse applicato al finanziamento e corrisponde in questo caso a zero. Il secondo, invece, va a prendere in considerazione tutti i costi collegati al prestito, ovvero le cosiddette spese accessorie, l’assicurazione e altro.

Per capire il reale costo del denaro ricevuto occorre consultare il secondo, il quale un tempo veniva abilmente camuffato dalle finanziarie. Oggi non è più possibile farlo, in quanto l’Unione Europea ha imposto l’obbligo di mostrarlo al cliente. Per farlo basta consultare il modulo SECCI (acronimo di Standard European Consumer Credit Information), il quale viene consegnato a chi richiede il prestito in modo da consentirgli di avere un quadro chiaro sulla reale situazione collegata alla transazione in atto.

I prestiti senza interessi: esistono realmente?

I prestiti senza interessi esistono realmente o si tratta di una semplice leggenda metropolitana? A questo punto la domanda è d’obbligo e comporta una risposta articolata. Nel settore creditizio non esistono finanziamenti di questo genere, per ovvi motivi.

Per trovare una risposta positiva al quesito, occorre dunque prendere sotto esame il settore privato. Ove ormai da lungo tempo esistono forme di prestito tra conoscenti e parenti, le quali in molti casi non prevedono il versamento di interessi a ripiano del debito contratto.

Si tratta peraltro di un istituto accettato all’interno dell’ordinamento italiano. In particolare nell’articolo 1813 del Codice Civile, il quale afferma testualmente che “il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”.

I prestiti tra privati, in effetti, possono essere fruttuosi o infruttuosi, ovvero con o senza interessi di sorta. Trattandosi spesso di piccole cifre, i contraenti non prevedono oneri sulla cifra concordata e risolvono tutto in via amichevole, proprio in considerazione del rapporto instaurato tra le parti.

In un caso o nell’altro, comunque, è sempre consigliabile dare luogo ad un vero e proprio contratto, anche sotto forma di scrittura privata. In modo da garantire al prestatore il rientro della cifra accordata alla controparte. Non prevedere una simile opzione può infine aprire la strada a contenziosi di non poco conto. Sino a sfociare in una vera e propria vertenza di carattere legale.

Cosa accade se il debitore non restituisce i soldi ricevuti?

Il prestito tra privati, senza il ricorso ad intermediari, viene spesso considerata una formula alla buona. Ovvero il logico risultato di un rapporto di vecchia data in cui tra le parti si è formata una atmosfera di cameratismo e di affetto.

Proprio per preservarla, però, sarebbe sempre consigliabile stendere un vero e proprio contratto tra le parti, nel quale siano previste le modalità e i tempi della restituzione dei soldi ricevuti da parte del debitore. Se poi questi si venisse a trovare in una spirale negativa potrebbe sempre chiedere al creditore di attendere un lasso di tempo aggiuntivo, oppure prospettargli l’ipotesi di restituire quanto ricevuto in un maggior numero di rate. Il creditore, a sua volta, sarebbe comunque garantito dalla scrittura privata stipulata in precedenza e invogliato ad accettare la nuova proposta.

In mancanza di un vero e proprio contratto, la situazione può invece degenerare, spingendo il debitore a disconoscere l’impegno assunto in via confidenziale. E costringendo di converso il creditore a rivolgersi alla giustizia, innescando un processo giudiziario tale da incrinare definitivamente il precedente rapporto.

Per il prestatore, a questo punto, le ipotesi praticabili per rientrare in possesso dei suoi soldi sono due:

  1. la denuncia penale per appropriazione indebita;
  2. il procedimento civile teso ad ottenere una ingiunzione di pagamento.

Entrambe le soluzioni sono comunque l’estrema ratio, cui sarebbe sempre meglio non arrivare. Cercando di instradare la trattativa su un binario in grado di evitare ostacoli in grado di far deragliare definitivamente un rapporto di vecchia data.

Come procedere nel prestito tra privati

Come è possibile procedere nel caso del prestito tra privati, per sgombrare il campo da sempre possibili equivoci? Gli esperti sono soliti dare alcuni consigli in tal senso.

Ad esempio sconsigliando il prestito orale, ovvero quello che si fonda su un accordo di tipo verbale. Un consiglio il quale deriva anche da una cosa abbastanza risaputa: la memoria può fare difetto. Per evitare che ciò accada è meglio stilare un documento scritto, il quale preveda tempi certi per la restituzione della cifra concordata. In un accordo verbale, magari approntato in fretta e furia, questo dettaglio può essere dimenticato e aprire la strada a recriminazioni.

Anche per quanto riguarda l’ipotesi che il creditore pretenda una ricompensa per il prestito accordato, la scrittura privata può rappresentare una vera e propria ancora di salvataggio, precisando il tasso di interesse. Da questo punto di vista, occorre senz’altro ricordare che ad evitare documenti scritti sono gli strozzini. I quali hanno un preciso interesse a farlo: le loro richieste sono esose e tali da risultare spesso proibitive per la controparte.

Quando si utilizza un prestito fruttuoso e si adotta la forma scritta, si deve dunque avere l’accortezza di prendere come riferimento il cosiddetto tasso di usura. Ovvero la soglia toccata la quale il prestito entra nella sfera dell’illecito. Deciso periodicamente dalla Banca d’Italia, deve quindi essere consultato prima della stesura del patto tra le due parti interessate.

Anche per quanto riguarda gli eventuali interessi è meglio ricorrere al patto scritto

Esiste un principio ormai consolidato in giurisprudenza: chi chiede la restituzione di una somma di denaro, affermando di averla in precedenza corrisposta a titolo di prestito, deve non solo riuscire a provare di aver effettivamente consegnato il denaro, ma anche la presenza dell’obbligo di restituzione nelle pieghe dell’accordo.

Un principio codificato dall’articolo 2697 del Codice Civile, fondato sul presupposto che una somma di denaro può essere in effetti essere consegnata per i più svariati motivi. Ove il beneficiario della somma pattuita riconosca di averla ricevuta, ma neghi allo stesso tempo che si tratti di un prestito, la situazione può complicarsi non poco. In questo caso, infatti, potrebbe trattarsi di una semplice donazione, un rimborso spese relativo ad un rapporto di lavoro o il compenso per delle prestazioni lavorative, casi in effetti molto diffusi nella vita di ogni giorno.

Cosa accade in questi casi? In pratica il creditore, nel caso si avvalga di una causa civile per rientrare in possesso dei suoi soldi, deve produrre la prova in grado di supportare la sua tesi. Ove non riesca a farlo, il giudice è praticamente obbligato a ritenere la cessione di soldi alla stregua di una semplice donazione.

Ad accettare questa tesi è anche la Corte di Cassazione, con alcune sentenze ormai accettate dalla giurisprudenza. Proprio per questo si consiglia sempre di ricorrere ad una semplice scrittura privata. All’interno della quale sia chiaramente indicata la causale della dazione del denaro, i tempi per la restituzione e tutti gli accordi intervenuti tra le parti.

Convengono i prestiti tra privati?

Il prestito tra privati è una formula non certo nuova. Anzi, nell’ambito della vita di tutti i giorni si può dire che esista praticamente da quando è stato inventato il denaro. Venendo sfruttato proprio nell’ambito di rapporti ormai consolidati e di fronte ad improvvise esigenze da parte di persone che non possiedono i requisiti per poter allacciare un proficuo rapporto con il credito tradizionale.

Oltre ai prestiti tra parenti e tra amici, però, nel corso degli ultimi anni si è affermato il social lending, ovvero il prestito tra pari il quale prevede l’intermediazione di una piattaforma online. Alla quale spetta il compito di spianare la strada verso la conclusione di un accordo in grado di risultare proficuo per tutti.

I vantaggi del social lending sono ormai abbastanza evidenti:

  1. le procedure sono notevolmente più veloci rispetto a quelle preventivate quando ci si rivolge ad una finanziaria che opera sul territorio;
  2. i tassi di interesse proposti sono solitamente più bassi;
  3. c’è molta più trasparenza, con l’eliminazione di un gran numero di spese accessorie che di solito portano in alto il TAEG;
  4. i prestiti non sono gravati dalle spese di personale e di altro tipo che vanno invece a ricadere sui prestiti tradizionali.

C’è bisogno di garanzie?

Va però sfatata una sorta di leggenda metropolitana, in base alla quale nel social lending non servono garanzie da parte del richiedente. Questo è vero semmai per i prestiti tra parenti e amici.

Se si utilizza una piattaforma online, occorre invece essere in grado di dare garanzie sotto i seguenti aspetti:

  • la capacità reddituale, ovvero la presenza di una busta paga sulla quale può fare affidamento il prestatore per rientrare dei soldi prestati tramite un piano di rientro;
  • il merito creditizio, ovvero uno storico che non presenti episodi problematici nel passato del richiedente, magari sotto forma di protesti o altre violazioni tali da far comparire il suo nominativo all’interno di uno dei tanti database di cattivi pagatori predisposti dalle cosiddette centrali rischi.

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